Conclusa la parentesi elettorale, le cui conseguenze saranno rognose per molti partiti, è tempo di bilanci. Ciascuno tira acqua al proprio mulino, capovolge la situazione a proprio piacimento. Anche i partiti più piccoli, con percentuali insignificanti, sembra che abbiano vinto. E così, nel carosello delle maschere, gli elettori sono sempre più confusi.
Il dato più eclatante, innanzitutto, è l’astensionismo. Quando a votare va meno della metà degli elettori, non vince nessuno. Anzi, la prima a perdere è proprio la politica. Anni di propaganda, di attacchi costruiti ad arte contro bersagli stereotipati, di offese e di “strappi” governativi: tutto ciò è un nocumento per la salute dello Stato. Che comporta il disinteresse della popolazione; la politica diventa “affare loro” e ciascuno guarda al proprio orto, il quale, a lungo andare, inaridirà.
La comunicazione post elettorale è emblematica di questo sistema: hanno vinto tutti.
Renzi afferma che il risultato di Italia Viva “è incredibilmente superiore alle aspettative” e che i suoi candidati sono “campioni di preferenze”.
Per Forza Italia, da lunedì, l’Italia s’identifica con la Calabria: un Paese composto da una sola regione, guarda caso quella in cui FI ha preso un risultato fuori dagli schemi nazionali. Calabria, Calabria e solo Calabria – e il 3.5% di Roma?
Salvini fa il prestigiatore: laddove la Lega ha dimezzato quasi ovunque le sue percentuali, egli afferma che “ci sono molti più sindaci leghisti in giro per l’Italia”. Ottimo, ma un partito ex 34% oggi relegato tra il 7 e il 14 non aspira soltanto a eleggere qualche sindaco.
Insomma, per tutti c’è un barlume di speranza. L’unico a infischiarsene di tutto ciò è Draghi, che continua a lavorare mentre gli altri chiacchierano. E alla luce delle elezioni, chi ha seguito il metodo Draghi è risultato vincente per davvero.
Così è: la vittoria ha molti padri, mentre la sconfitta è orfana.