Pochi giorni fa, all’età di 85 anni, si è spento Giuseppe Zamberletti, uomo che ha servito il nostro Paese e ha contribuito allo sviluppo dell’Italia in modo inequivocabile. Nel 1982 ha fondato la Protezione Civile, in seguito alle catastrofi degli anni precedenti, ovvero i terremoti del Friuli e dell’Irpinia.
Nel 1976 fu nominato “Commissario straordinario per la ricostruzione” in occasione del terremoto friulano e dopo pochi anni la regione fu ristabilita.
Conseguì, poi, il medesimo risultato nel disastro naturale che si abbatté sulla Campania e sulla Basilicata. Erano anni in cui si ricostruiva non per ricominciare, ma per proseguire: la gente aveva il diritto di tornare a vivere come prima, senza adattamenti. E così accadde. Non è un mistero che il motto di Zamberletti fosse: “Ricostruire tutto com’era e dov’era”. Parallelamente, pensiamo a Genova, dove la crisi del crollo del ponte Morandi ancora non è stata risanata, una vergogna per lo Stato e una piaga per i genovesi. E ad Amatrice, Norcia, Visso e Accumoli, cittadine disastrate dal sisma nel 2016 e ancora in attesa di vita. O tempora, o mores.
Nel 1979 Zamberletti accolse 907 profughi dal Vietnam, giacché la capitale Saigon cadde e chi restò subì la rappresaglia comunista dei vincitori, che rinchiusero uomini e donne in campi di rieducazione, dove morirono circa 165.000 civili. Talvolta, purtroppo, la memoria è breve per chi non ha eco nel tempo.
Salutiamo un amico, un maestro e una guida, senza dirgli addio.
L’addio è un “a non rivederci”, mentre gli insegnamenti di Zamberletti sono visibili e ben scolpiti nel cuore di ogni italiano degno di tale definizione patriottica.