Le banche centrali delle principali economie mondiali studiano già quando terminare la politica monetaria espansiva che ha stimolato la liquidità e gli investimenti necessari a contrastare la recessione economica originata dal Covid.
Una politica monetaria espansiva – cui si antepone una restrittiva – riduce i tassi d’interesse e stimola l’offerta di moneta per favorire finanziamenti con un costo del danaro ridotto; ciò incentiva gli investimenti e la produzione di beni e servizi, assorbendo la disoccupazione. Il prezzo da pagare è, tuttavia, un aumento dell’inflazione, come quella attuale, che ha origine nella diminuzione prolungata dell’offerta globale di beni e servizi per la pandemia.
La BCE continua con la sua politica espansiva e vede l’inflazione della zona Euro come temporanea (target al 2% simmetrico). Continuerà fino a marzo 2022 il programma di acquisto titoli PEPP da 1,85 trilioni di €. Il quantitative easing (che continua a 20 mld di € al mese col nome di APP) ha abituato a livelli d’inflazione anche del 2,5% prima di considerare rialzi dei tassi. Francoforte non vuole mantenere bassi tassi più a lungo, quanto evitare prematuri rialzi con un’inflazione non stabilizzata.
La Federal Reserve studia il rallentamento del suo programma di acquisto di titoli sul mercato. Gli analisti di Bloomberg stimano che i tassi potrebbero essere rialzati dal 2023, ma l’inflazione continua ad essere elevata e la disoccupazione non è calata come sperato. Ciò potrebbe portare già dal 2022 ad una politica restrittiva.
La riduzione della disoccupazione ha invece precedenza rispetto all’inflazione per la Bank of England: si tollera una crescita dei prezzi oltre il target del 2% come non si vedeva da un triennio pur di lasciar crescere il numero degli occupati.
Al riparo da inflazione e disoccupazione sembra essere la Cina: forte della piena ripresa economica, continuerà la politica espansiva giovandosi della svalutazione competitiva dello yuan, traino alle esportazioni, ma si muoverà di concerto con altre banche centrali qualora veda i tassi aumentare.
La banca centrale giapponese continuerà la sua politica di stimolo alla liquidità fino al 2024, quando l’inflazione si dovrebbe attestare al 2%. L’attuale strategia induce un desiderato deprezzamento dello yen, stimolando le esportazioni.
Gli altri BRICS hanno strategie monetarie eterogenee: l’India stimolerà ulteriormente un’economia segnata dalla pandemia, ritenendo l’inflazione un problema secondario. Il Brasile ha già adottato un’aggressiva politica restrittiva, impaurito dall’impennata dei prezzi; l’imperativo è riportare l’inflazione al 3,5%, mentre l’elevata disoccupazione è ritenuta un male minore. In Russia l’inflazione oltre il target del 4% ha obbligato la banca centrale a rialzare i tassi di 125 punti base nel solo 2020; vane le misure draconiane come il calmiere.
Degni di menzione sono Turchia e Argentina: nonostante i prezzi elevati delle materie prime e la lira turca molto debole, il Presidente Erdogan – che ha già rimosso 3 governatori in 2 anni – sta obbligando la banca centrale a diminuire ulteriormente i tassi per ottenere svalutazioni competitive. A Buenos Aires si cerca di diminuire l’inflazione (50%) apprezzando il peso, ma si è stampato già 1/5 della moneta consentita annualmente dal bilancio statale.