Mai come durante i campionati mondiali o europei di calcio ci è dato ascoltare così spesso il nostro inno nazionale. Capita il 7 dicembre di ogni anno in occasione della prima della Scala (e lì lo ascoltiamo impreziosito dalle splendide sonorità dell’orchestra scaligera); capita in occasione di qualche cerimonia ufficiale, ma si tratta comunque di eventi non frequenti.
E allora, cogliendo l’occasione del frequente ascolto di questi giorni, parliamo un po’ del nostro inno nazionale.
Goffredo Mameli era un ragazzo genovese cresciuto con il mito dell’italianità e come tale divenuto fervente patriota fin da bambino. Già durante la scuola aveva manifestato un innato talento letterario e all’età di vent’anni, nel 1847, compose il testo del “Canto degli Italiani”: sei strofe, ciascuna composta da due quartine in ritmo senario. Di queste la prima è quella generalmente eseguita, universalmente nota, mentre le successive sono ai più sconosciute.
Nel 1849 Goffredo Mameli accorse, unitamente a tanti altri patrioti, in difesa della Repubblica Romana e qui combatté agli ordini di Giuseppe Garibaldi. Ferito gravemente a una gamba in occasione di uno scontro sul Gianicolo morì un mese dopo per la setticemia che ne era derivata. Aveva 21 anni.
Il Canto degli Italiani inneggia al riscatto di un popolo schiavo e deriso per secoli e ricorda gli episodi di gloria e di eroismo di cui gli italiani furono capaci nel corso della storia: dai fasti dell’antica Roma alla battaglia di Legnano, dai Vespri Siciliani al sasso scagliato dal giovane Balilla. La musica venne fu composta anch’essa nel 1847 da Michele Novaro, musicista anch’egli profondamente intriso di spirito patriottico.
Il Canto degli Italiani divenne ben presto assai popolare, già durante le guerre d’indipendenza, e ciò sia per i suoi contenuti fortemente evocativi sia per l’eroica e tragica vicenda personale del suo autore. Ma la strada per divenire inno nazionale durò un secolo. Con la proclamazione del Regno d’Italia nel 1861 venne scelta come inno nazionale la Marcia Reale, composizione esclusivamente strumentale del musicista torinese Giuseppe Gabetti. Ma fu fu ben presto chiaro a molti che la forza evocativa del Canto degli Italiani meglio rappresentava lo spirito patriottico di cui era permeata la nascita del nuovo regno. Lo comprese bene anche Giuseppe Verdi, che nel 1862 compose per l’Esposizione Universale di Londra l’Inno delle Nazioni e vi inserì, per rappresentare l’Italia, non la Marcia Reale ma il Canto degli Italiani.
Quest’ultimo divenne inno nazionale solo nell’ultimo dopoguerra; nel 1946 come “inno provvisorio” e solo nel 2017 in via definitiva con la legge n. 181 del 4 dicembre pubblicata il 15 dello stesso mese in Gazzetta Ufficiale.
Fu una scelta molto contrastata e nell’arco di un secolo si sostenne che molti altri testi e musiche sarebbero stati più idonei a celebrare l’Italia in qualità di inno nazionale: Va pensiero, La canzone del Piave, La campana di San Giusto, Bella Ciao e altri. Ripercorrere quell’iter sarebbe qui troppo lungo e d’altronde esiste sull’argomento ampia ed esauriente letteratura.
Ma ora crediamo che queste diatribe siano definitivamente tramontate. Il nostro inno nazionale non sarà un capolavoro dal punto di vista letterario e musicale ma è quanto più degnamente può evocare l’unità del nostro popolo e contemporaneamente rappresentarci di fronte al mondo. Apprezziamolo dunque in tutte le occasioni in cui viene eseguito e, perché no, anche all’inizio delle partite della nostra nazionale.