La vittoria della nazionale italiana di calcio contro il Galles è stata coperta, mediaticamente, da un fatto più politico che sportivo: il mancato inginocchiamento da parte di alcuni calciatori prima del fischio d’inizio in nome della protesta “Black Lives Matter”. Così, nella giornata di ieri, s’è più discusso di un presunto razzismo da parte dei miscredenti, anziché della prestazione vincente della squadra. La politica, sopratutto se manifestata mediante messaggi nati con un giusto pretesto e divenuti sterili, deve restare fuori dallo sport. Può condizionarne gli apparati, i vertici delle squadre, il dibattito sulla Super Lega; ma non è bene che entri a gamba tesa e divida ciò che oggi, necessariamente, è motivo di unione.
La protesta nacque in seguito alla morte di George Floyd (per la quale, di recente, la giustizia americana si è espressa in modo netto e ha condannato con pene severe il fatto), ucciso senza pietà da un poliziotto in servizio a Minneapolis il 25 maggio dello scorso anno. Da quel momento in poi, è sorto un hashtag divenuto virale in breve tempo, dal titolo “#BlackLivesMatter”, anche le vite dei neri contano. Fin qui, tutto bene: un fatto di brutale cronaca nera, una sollevazione popolare che intende vendicarlo sensibilizzando la collettività mondiale, con manifestazioni e campagne social. Il problema, che è sorto a lungo andare, col trascinare un ritornello sempre uguale in ogni contesto e in ogni luogo (perfino nel nostro Parlamento, ove l’8 giugno 2020 una compagine del PD si è inginocchiata in Aula), ha due fattori critici. Il primo, ovvero la degenerazione del messaggio: da protesta pacifica, negli USA, è diventata sommossa popolare, con scontri tra neri e bianchi, saccheggi e vetrine di negozi simbolo del capitalismo globale infrante. Ciò testimonia la presenza di una componente non sottovalutabile di invidia sociale; si prende a pretesto un obiettivo universalmente condiviso, ossia la lotta al razzismo, e sotto la sua egida si mascherano secondi sfoghi repressivi. Il secondo, cioè il trascinamento temporale della faccenda: BLM è proseguito a oltranza, ha perso di significato e, anziché trasformarlo in un processo di sensibilizzazione culturale, si è mal pensato di adoperarlo, sfruttandone l’onda, in ogni contesto. Uno stadio, un Parlamento, una piazza, una manifestazione. Anche, e persino, quando il tema c’entra poco e niente.
Quanto accaduto ieri è scaturito più dall’inconsapevolezza del momento che dal razzismo dei giocatori. Tutti aspettavano il fischio d’inizio, mentre, all’improvviso, i gallesi si sono inginocchiati. Il gesto ha colto di sorpresa gli italiani, tant’è che la palla è stata perfino battuta e giocata, salvo poi essere riposizionata a centrocampo. Allora alcuni si sono inginocchiati, per emulazione, mentre altri hanno atteso, spaesati, che i colleghi si rialzassero. Così è successo. Montare una polemica, per ricondurre alla politica quel che politica non è, suona come fazioso e grida vendetta in primis a chi, invece, di razzismo è vittima. Perché, senza certezza ma con buona probabilità, si può ritenere che le vittime del razzismo preferiscano un popolo educato al rispetto e sensibile a tematiche così delicate, piuttosto che un popolo che ieri s’inginocchia e oggi insulta con epiteti anacronistici e sciagurati.
Pertanto, la domanda che sorge è la seguente: si vuole sfruttare l’onda mediatica dell’Europeo per aiutare a combattere il razzismo? La UEFA, ufficialmente, faccia un comunicato nel quale inviti tutte le squadre a inginocchiarsi e preveda un minuto di silenzio prima dell’inizio delle partite. Poi, ciascuno sia libero di genuflettersi o meno. Ma l’ufficialità sgombrerebbe il campo da ogni equivoco.
Infine, con profondo rispetto verso la lotta al razzismo, piaga atavica delle società di ogni tempo, tuttavia sarebbe stato più giusto inginocchiarsi per Patrick Zaki, ancora trattenuto nelle prigioni egiziane senza giustificato motivo, o per Saman Abbas, giovane pakistana uccisa dalla sua famiglia, o per Adil Belakhdim, sindacalista travolto mortalmente a Biandrate mentre manifestava per un equo salario e per un sano lavoro. Ieri, almeno, era bene farlo per loro. Si è persa un’occasione per lanciare un messaggio autentico, non macchiato da fanatismi di partito.