Alessandro Bencivenni e Madri Gotiche: scrivere per imparare a vivere

«Alessandro Bencivenni è uno sceneggiatore italiano».

Questo ciò che riporta Wikipedia sulla figura di Alessandro Bencivenni. Eppure, per chi non lo conoscesse, Alessandro Bencivenni è prima di tutto un essere umano. Dotato di una forte creatività, esperienza e amore per ciò che fa e per coloro che lo circondano. Della moglie, Patrizia Busacca, parla al presente perché, nonostante siano passati due anni dalla sua scomparsa, è ancora qui, tanto con il suo libro e i suoi progetti che con lo splendido ricordo che ha lasciato.

Giorgio Amitrano, che ha proposto Madri Gotiche, il libro di Patrizia Busacca, per l’edizione 2021 del Premio Strega ha detto che «è un libro che scuote, indigna, commuove e infine diverte»; Mariolina Venezia per il Corriere della sera ha scritto che «l’opera ha un’autenticità, una vitalità e una forza che trascende le categorie letterarie o saggistiche».

Madri Gotiche è una testimonianza. Inizialmente, nella volontà di mia moglie di lasciare traccia della zia, una donna rinchiusa sin dalla sua adolescenza in un ospedale psichiatrico (il famigerato Santa Maria della Pietà). Quando Patrizia scoprì l’esistenza di questa sua zia se ne prese cura, anche nella vita pratica e nella tutela legale. Ma soprattutto ritenne di doverla risarcire del fatto di essere stata rimossa, dimenticata dalla sua famiglia. Ha scoperto dell’esistenza di sua zia che era già  grande e man mano che la madre ha iniziato a invecchiare, ha capito che era il caso che ne assumesse lei la tutela. Come tutrice legale ha avuto accesso a dei documenti che l’hanno spinta, da giornalista qual era, a costruire la storia della zia e la storia del suo internamento. L’ha fatto, come spesso accade, con lo spirito della ricerca del colpevole, del responsabile di tutto. Nonostante l’istituzione psichiatrica di un tempo avesse delle procedure crudeli, inumane, non trovò la pistola fumante, che è quello che uno cerca quando si cerca un responsabile. Non c’è stato l’abbandono colpevole dal parte della famiglia, l’accanimento sadico di qualche medico, ma c’è la responsabilità grave della rimozione. Con l’illusione di farla soffrire di meno.

Poi durante la stesura che ha ripreso e abbandonato tante volte negli anni, Patrizia si è ammalata. Ed è successa sostanzialmente la stessa cosa. Quando ci si ammala l’istinto è di cercare un colpevole: perché è successo a me? Perché mi son ammalata? Perché il destino si è accanito contro di me? Ma come il libro testimonia, presto si smette di cercare un responsabile. Accanto al desiderio di lasciare una testimonianza della zia, mia moglie ha sentito il desiderio, la necessità di lasciare una testimonianza di se stessa e del suo rapporto con la malattia. Due argomenti si sono intrecciati.

Quello che in qualche modo mia moglie ha cercato di fare attraverso la scrittura è stato anche pacificarsi con i fantasmi familiari, e lì c’è riuscita solo in parte. Tante ferite sono rimaste comunque aperte, però il libro trasmette in maniera molto forte, in maniera quasi commovente questo senso di riconciliazione. Da un lato ho lo scrupolo e il dispiacere che distratti da tante cose, anche dalla malattia stessa, Patrizia non abbia potuto vederlo pubblicato, anche per quel continuo lasciarlo da parte per poi riprenderlo. Mi dispiace che non lo abbia visto pubblicato, che non abbia visto l’enorme risultato che ha ottenuto, l’attenzione, il successo. Addirittura ha avuto il prestigio di essere proposta allo Strega. Lei stessa sarebbe stata incredula, però, in un certo senso, lo dico anche se forse potrà sembrare strano, questo è un libro che acquista un vero senso proprio perché postumo, perché visto a posteriori, questo senso di accettazione verso ciò che è davvero inaccettabile, come la propria fine, lo illumina di una grandezza straordinaria. Sono argomenti che fanno paura: la malattia, la pazzia, si tratta di argomenti che nessuno vuole toccare. Ma il libro in certi momenti è persino divertente, perché, soprattutto quando racconta delle vicissitudini della famiglia, saltano fuori momenti che si caricano perfino di elementi grotteschi, buffi. Quello che il libro restituisce è proprio il fatto di confrontarsi con lucidità e con accettazione rispetto a delle cose che viste dall’esterno sembrano inaccettabili.

È importante per me sottolineare che quando racconto che abbiamo convissuto con la malattia per 12 anni, si pensa a una vita dolente, fatta solo di medicine, flebo e operazioni – e certo, ci sono state anche quelle – ma abbiamo vissuto una vita piena, come coppia e come famiglia, con nostro figlio. Patrizia ha avuto la soddisfazione di vederlo crescere e arrivare alla maturità. Tutto ciò ha dato alle cose una qualità che paradossalmente, forse, prima della malattia neanche avremmo saputo dare. C’è un passo, a me particolarmente caro, nel quale Patrizia racconta quando andammo in Provenza a visitare l’atelier di Cézanne. Lui aveva una bellissima tenuta in campagna che, adesso, con l’espandersi della città non è più campagna, ma è alle soglie della città. In questa tenuta sono rimaste le cose che ha ritratto ossessivamente per tutta la sua vita: il monte Sainte-Victoire che si vedeva attraverso le finestre e tutta una serie di oggetti di uso comune — bicchieri, piatti, frutta—, come se questi nascondessero dei segreti che non è bastata una intera vita d’artista per decifrarli. Questo era l’approccio che Patrizia ha avuto nei confronti della vita come conseguenza della malattia. Lei ha lasciato scritto: «Cosa mi ha insegnato la malattia? Mi ha insegnato a vivere».

Lei crede che il suo vivere quotidiano sia diventato anche il lascito di sua moglie? Dopotutto lei si trova a vivere anche tutto ciò che sua moglie non ha potuto—e quindi si trova anche con questa gravosa responsabilità— o le sta rendendo semplicemente grazie?

Patrizia mi ha alleggerito di tante cose in vita, anche del distacco. Sono passati circa due anni dalla sua scomparsa e ovviamente è stato difficile per me e per nostro figlio accettarlo. Ma occuparmi della pubblicazione del libro, rivivere attraverso il libro stesso una parte della vita compiuta insieme e non solo: c’è tutta una parte della sua infanzia e adolescenza che io stesso non potevo conoscere e ho scoperto attraverso la lettura; tutto questo mi ha dato il senso di tutto. Non voglio adesso mitizzare o idealizzare la storia del nostro matrimonio, ma sicuramente è stato caratterizzato da una progettualità comune molto forte, e questo continua anche dopo la sua scomparsa. Però è come se avesse tracciato un solco e, percorrendolo, è come se mi avesse alleviato il dolore del distacco. E’ come se ciò che abbiamo programmato insieme, grazie a lei, continuasse, anche dopo la sua scomparsa. Ci sono delle cose con le quali non posso competere con lei; ma ci sono tantissime cose che mi ha insegnato, anche nel continuare questa progettualità comune. Non c’è più molta differenza tra “io” e “noi”. Quando scompare una persona cara si introiettano le sue parti, e quindi è come se continuassero a vivere dentro di noi.

Come ha detto, il successo di “Madri Gotiche” è stato enorme. Era un libro con molto potenziale, che ha iniziato a prendere forma postumo, come è testimoniato dal Premio Strega e da progetti come Race for the Cure; i progetti sono tanti, però  volevo chiederle se ci fossero altri progetti in itinere?

Il libro è uscito con una piccola casa editrice (Lineaedizioni di Lisa Marra) curata da una persona deliziosa e appassionata, ma il limite dei piccoli editori è che faticano persino ad arrivare a scaffale. Per fortuna, molti acquistano i libri online, tuttavia la presenza fisica in libreria, per le persone come me soprattutto, un po’ feticiste, ha tutto un altro valore. Questo è un libro postumo, quindi, per un editore è un investimento a perdere; certamente non si tratta di un autore che pubblicherà ancora, tuttavia la risposta editoriale c’è stata. Quello che è successo, e che ha del miracoloso, è il fatto che, nonostante mi aspettassi l’affetto dei conoscenti e degli amici, tutta una serie di persone estranee si sono raccolte attorno a questo progetto, a cominciare da Patrizia Ruscio, una giornalista che si chiama appunto come mia moglie, che un po’ per l’omonimia, un po’ perché è nata e cresciuta nella stessa strada dove è cresciuta Patrizia, anche se in un’altra epoca e nonostante non si siano mai conosciute perché si tratta di una generazione diversa, si è appassionata talmente tanto a questo libro che ha scritto più di un articolo dedicato a questo. Inoltre è stata lei ad auspicare tutti questi eventi. In un certo senso è come se Patrizia avesse avuto una vita sociale postuma, come se lei continuasse a conoscere persone. Alcune donne, molte lettrici, mi hanno scritto parole molto affettuose, come se la conoscessero, alcune persino polemiche. Una donna mi ha detto: «non sono mica d’accordo con tutto quello che dice», parlava di lei come si fa con le persone amiche, come se Patrizia fosse una persona viva con la quale puntualizzare. Le persone ci sono state, sempre in dimensioni modeste, ma comunque le reazioni sono state sempre sorprendenti. Quindi non ti so dire quello che succederà. Tutto quello che è successo, è successo in maniera quasi magica.

Dove vorrebbe vederlo?

Mi piacerebbe vederlo in libreria e in vetrina, cosa che accade solo occasionalmente. E poi, per deformazione personale, ogni tanto mi chiedo se non ne possa nascere una qualche trasposizione, magari cinematografica. Certo, è molto complicato perché, non è precisamente un romanzo, ma un mémoire, quindi si mescolano tante cose: ricordi personali, la storia della zia, la saga familiare, un’indagine giornalistica sulle cure psichiatriche, ma anche delle riflessioni sul ruolo della famiglia nell’insorgenza di problemi psichiatrici.

Anche perché, chi meglio di lei per scriverne la sceneggiatura!

Meglio di me? Chiunque! Perché io sono abituato a fare cose leggere, ho sempre scritto cose leggere…

Cose leggere che pero hanno segnato la storia cinematografica del nostro Paese…

Guarda, lo dico come battuta, ma è vero: credo che mia moglie mi abbia sposato perché l’ho fatta ridere. Noi ci siamo conosciuti ad una festa. Sicuramente ero molto di buon umore, ma mi ricordo che la feci ridere moltissimo e lei che era spiritosa, ma aveva una vocazione, come si vede anche dal libro, sicuramente più drammatica della mia, forse ha trovato una sorta di complementarità con me in questo. Credo che questo sia stato utile. Pur avendo un temperamento completamente diverso dal mio, se le faceva anche lei le sue risate quando eravamo ospiti di De Laurentis, alle anteprime dei nostri cinepanettoni. E pur essendo una donna molto colta e di certo con gusti molto più raffinati dei miei, non aveva un atteggiamento di superiorità o diffidenza rispetto alla comicità, assolutamente; le piaceva e credo che sia stato un punto di incontro tra due temperamenti diversi.

Nonostante non abbia parlato di sé, lei ha lavorato per una quantità incredibile di film, e sceneggiati per la tv. E’ giusto citare gli esempi di collaborazioni con Neri Parenti per i film di Paolo Villaggio e gli straordinari cinepanettoni realizzati. Anche lei inoltre è un autore, ha pubblicato ad esempio “L’amore non è incluso” e alcuni libri di cinema, delle monografie di autori importanti, che hanno fatto la nostra storia del cinema neorealista ad esempio. Dobbiamo ricordare inoltre il successo televisivo di “Don Matteo”.

Patrizia si occupava di sport e di spettacolo come giornalista televisiva. Anche lei era una grande appassionata di cinema; avevamo tantissime passioni in comune tanto è vero che quando nel ’97 ci sposammo e venimmo nella casa dove abito tutt’ora, si pose il problema dei libri perché avevamo un sacco di doppioni. Io ho tenuto i miei perché li conservo meglio, sembra che non siano stati neanche aperti, visto il mio atteggiamento maniacale verso di loro. Invece Patrizia ne faceva un uso più disinvolto per cui alla fine sono sopravvissuti i miei, anche se moltissimi doppioni li ho tenuti per un fatto affettivo.

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