“Ti prego, dimmi cosa devo fare.”
L’avventura di Elizabeth Gilbert inizia così: una notte, scivola via dal letto coniugale e si accovaccia sul pavimento del bagno. Non vuole più essere sposata e non vuole più avere un figlio, ma l’unica cosa più impossibile di andarsene da casa è restare. Quindi piange e chiede indicazioni a Dio, anche se non sembra avere molta confidenza con Lui.
La risposta dell’inquilino del piano di sopra, però, non è immediata, e conduce questa donna in crisi in un viaggio a ritroso e in avanti, nel tempo e nello spazio, nella sua vita e in quella degli altri. Con tutte le cadute del caso, tipo innamorarsi di un hippy più giovane subito dopo il divorzio. A un certo punto la protagonista, scrittrice di professione e aspirante globetrotter, imbocca la strada giusta e pianifica un viaggio di un anno in tre posti completamente diversi tra di loro, che le offriranno tutta la loro saggezza millenaria. L’Italia le insegnerà a mangiare, l’India a pregare, Bali le farà riscoprire l’amore.
Ci sono molte ragioni per cui questo è in assoluto uno dei miei libri preferiti: è femminile nel senso più introspettivo del termine; parla di viaggi, di meditazione, di preghiera nel senso più profondo del termine, quello che la connette con il concetto di ascolto; c’è un sacco di cibo, c’è l’amore e ci sono le battaglie delle donne del ventesimo secolo contro gli stereotipi, contro la noia e le vite cucite addosso come se non ci fosse altra soluzione al mondo.
Per questo e per mille altri motivi, “Mangia, prega, ama” è diventato il mio comfort book: l’ho riletto tutte le volte che, nella mia vita, ho avuto bisogno di un paradigma di donna in cui riconoscere le mie debolezze, e ho scoperto sempre qualcosa che apparteneva a me e a tutto il genere femminile, ma anche parecchie circostanze in cui si potrebbe identificare un uomo.
E poi, se avete Neflix, guardatevi anche il film con Julia Roberts: vederla mangiare una pizza margherita in quel di Napoli, mentre promette di comprare un paio di pantaloni più larghi, ci fa sentire come se davvero ogni donna avesse la stessa fragilità di fronte allo specchio.