“Se è vero che esiste un potere, questo potere è solo quello dello Stato, delle sue istituzioni e delle sue leggi; non possiamo oltre delegare questo potere né ai prevaricatori, né ai prepotenti, né ai disonesti”.
Queste poche parole, proferite dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, riescono a sintetizzare la dura lotta contro la mafia che ha portato avanti per tutta la vita fino al momento della sua morte, avvenuta il 3 settembre 1982.
Figura di spicco nella lotta contro il terrorismo degli anni di piombo, Dalla Chiesa divenne prefetto di Palermo proprio nel giorno dell’attentato in cui trovò la morte il segretario del PCI Pio La Torre, il 30 aprile 1982, mandato lì proprio per cercare di contrastare il fenomeno mafioso.
Erano anni inquieti a Palermo quelli tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, come in tutta la Sicilia del resto, terra meravigliosa quanto martorizzata dal mostro della mafia.
Dopo la morte di tanti eroi che cercarono di contrastare Cosa Nostra (il capo della squadra mobile di Palermo Boris Giuliano, il giudice Cesare Terranova, il presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella per citarne alcuni, ma la lista è notoriamente più lunga), Dalla Chiesa sembrava essere l’unico uomo dello Stato in grado di fermare il massacro, dando così speranza ai cittadini siciliani onesti e stufi di vedere quasi ogni giorno morti ammazzati per strada.
Una speranza, però, interrotta la notte del 3 settembre del 1982, quando un commando di killer della cosca corleonese guidata da Toto Riina, autore principale della mattanza di quegli anni (in cui, oltre ad innocenti e servitori dello Stato, morirono anche alcuni dei boss più influenti del periodo come Salvatore Inzerillo e Stefano Bontade), uccise con 30 colpi di kalashnikov il Generale, la sua giovane moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo.
In un attimo anche l’ottimismo riversato sulla figura di Dalla Chiesa diventò vano, soprattutto dopo che lo Stato non volle conferire pieni poteri al prefetto (cosa che, invece, avvenne per la lotta contro il terrorismo).
Il motivo per il quale il riconoscimento dei pieni poteri che Dalla Chiesa chiedeva di ottenere da tempo per contrastare la mafia non arrivò mai è ancora oggi un mistero, ma di sicuro la coraggiosa battaglia messa in atto da questo grande servitore dello Stato non è mai stata dimenticata dagli italiani che, a distanza di 38 anni, ricordano il generale con estrema riconoscenza per il suo operato.
Numerose saranno le cerimonie per l’anniversario della sua morte, da nord a sud, affinché il sacrificio delle vittime di mafia come il prefetto Dalla Chiesa, che hanno dedicato la loro vita per questa causa, non venga mai dimenticato.
Fu un’altra delle tante morti voluta dallo Stato, da coloro che comandano veramente in Italia, chi si avvicina a loro è già un uomo morto, Falcone e Borsellino ne saranno l’esempio a venire. Fin quando ci sarà il potere occulto sarà sempre così, la vera mafia è lo Stato dentro lo Stato eletto dal popolo.