Lo scorso 21 aprile, il Consiglio dei Ministri ha approvato il testo definitivo relativo alla riforma del reclutamento dei docenti. Cos’è cambiato? I 24 CFU serviranno ancora oppure no?
I 24 CFU: cosa sono
Il 13 aprile del 2017, con il D.Lgs n°59 (Decreto CFU), il MIUR stabilisce dei criteri precisi per l’ottenimento dei crediti formativi universitari (CFU), necessari all’insegnamento. Con il decreto n°616, poi, si definiscono le modalità con cui ottenere questi crediti.
Questo decreto, dunque, stabilisce che il solo titolo di laurea non è più sufficiente per l’abilitazione all’insegnamento. Bisogna perciò conseguire 24 CFU in settori disciplinari specifici: parliamo di discipline antropo-psico-pedagogiche e nelle metodologie didattiche, ovvero psicologia, antropologia, pedagogia, pedagogia speciale, didattica dell’inclusione, metodologie e tecnologie didattiche generali.
I 24 CFU, uniti al titolo di laurea, costituiscono, quindi, titolo abilitante all’insegnamento e permettono di accedere alle classi di concorso.
Come si ottengono i 24 CFU?
Le strade principali sono due: l’università e gli Enti AFAM, ovvero Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica. Nel primo caso, se non si è ancora laureati, si ha la possibilità di seguire un semestre aggiuntivo – senza ulteriori costi – per poter conseguire i CFU. Se si è già in possesso del titolo di laurea, invece, i restanti CFU dovranno necessariamente essere acquisiti con degli esami integrativi, a pagamento.
Cosa cambia con il testo del 21 aprile
Modifiche sostanziali sono state introdotte con l’approvazione del testo da parte del Consiglio dei Ministri il 21 aprile scorso. Si parla di un nuovo percorso di reclutamento per i neo-laureati. Come dichiarato da Manuela Pascarella, della Flc Cgil, in un’intervista rilasciata a Orizzonte Scuola tv, «Ci sono tre step: percorsi abilitanti a numero programmato che prevedono una formazione a regime pari a 60 CFU con prova finale sia scritta che orale e quindi l’acquisizione dell’abilitazione».
Dopodiché, si passa al secondo step: «il concorso (l’abilitazione è il titolo di accesso al concorso)» e, infine, il terzo step, ovvero l’«anno di prova e formazione con test finale e valutazione del dirigente scolastico».
Insomma, non un percorso semplice, anzi, «a ostacoli con tante prove» – come lo definisce Pascarella – e, soprattutto, che lascia spazio a diversi interrogativi: i 24 cfu che fine faranno? Verranno persi? Verranno integrati, o integrati parzialmente?
La risposta a queste domande non è chiara, il decreto non lo specifica e, per tali ragioni, non si può far altro che aspettare l’arrivo di ulteriori decreti del ministero dell’Università e dell’Istruzione.
E i precari?
Per i precari si prospetta un rischio bello grosso: il decreto, infatti, stabilisce che chi ha almeno 3 anni di servizio nella scuola statale negli ultimi 5 anni, può accedere direttamente al concorso senza bisogno dell’abilitazione (insomma, può accedere allo step 2 senza passare per lo step 1).
Questa, secondo Pascarella, è una trappola. I precari, effettivamente, hanno «come unica misura il concorso, dove si misurano al pari di coloro che non hanno mai messo piede a scuola, e solo dopo potranno accedere al percorso di formazione abilitante ricoprendo in quell’anno un contratto a tempo determinato». E non solo! I precari corrono anche il rischio di essere surclassati nelle graduatorie dai neolaureati che hanno conseguito l’abilitazione.
Il decreto, comunque, da quando è stato reso pubblico, ha cominciato a raccogliere delle richieste di modifica, alcune delle quali provengono proprio dalla sigla Flc Cgil e che vengono riportate su La Tecnica della Scuola.
Tra queste, ce n’è una dedicata proprio alla situazione dei precari e la Flc Cgil si espone così: «Per i docenti precari che hanno svolto almeno tre anni scolastici di servizio negli ultimi 10 (non negli ultimi 5) chiediamo una riserva dei posti destinati ai percorsi formativi abilitanti pari al 30% di quelli attivati per ogni anno accademico di riferimento.
Una misura a regime che si ripete ogni anno, con regolarità e garantisce ai precari la possibilità di accedere alla formazione abilitante, in maniera da non essere superati nelle GPS dai neolaureati che si abilitano»
Altra richiesta che risulta fondamentale per la facilitazione di un percorso fin troppo complesso riguarda l’eliminazione del «test finale nell’anno di formazione e prova, che risulta una prova ridondante, considerato che il docente arriva a questo percorso dopo aver superato il percorso abilitante e le prove concorsuali. Rimane in piedi la valutazione del Dirigente scolastico e del comitato di valutazione, tenuto conto dell’istruttoria del tutor.»
Per ora, però, si tratta solo di richieste e di ufficiale non c’è ancora nulla. Si spera, comunque, di ottenere notizie certe il prima possibile.