20 anni assenti su 24, ma la prof De Lio non è stata licenziata per le sue assenze

A cura di Giacomo Frate – team “Cose che i contribuenti olandesi non vedono l’ora di pagare

Nonostante sia nota al grande pubblico semplicemente come “L’insegnante assente per vent’anni”, per capire la vicenda di Cinzia Paolina De Lio dobbiamo approfondire una storia lunga 24 anni. Una storia che va ben oltre le assenze e tocca molti tasti dolenti sull’inadeguatezza del nostro sistema scolastico.

Si è definita in un’intervista: “Giornalista pubblicista, ma anche diplomata in pianoforte, specializzata in nuove tecnologie, laureata in filosofia, perfezionamento in criminologia, pet therapy, storia della medicina, parassitologia del territorio”. Insomma, si presenta al pubblico come una figura chimerica – quasi mitologica – che negli anni ha seguito ogni tipo di corso di specializzazione (tranne, ovviamente, qualsiasi cosa riguardi studiare la didattica, cosa che si è rifiutata categoricamente di fare).

La genesi del personaggio porta con sé interrogativi non indifferenti. L’insegnante cinquantaseienne attualmente residente a Chioggia nel 2001 partecipa a un concorso pubblico e diviene insegnante di ruolo nella regione natìa. Da lì in poi per quindici anni intraprende la non ammirabile abitudine di esentarsi dal lavoro tramite ogni tipo di espediente. Secondo una lista non mia (cito un articolo di Repubblica, 27 Giugno 2023), la De Lio ha presentato negli anni:

  • 67 certificati di assenze per malattia
  • 2 assenze per infortuni sul lavoro
  • 16 permessi per motivi personali.
  • 7 periodi di congedo parentali retribuiti
  • 3 interdizioni dal lavoro per motivi di salute, i congedi per la maternità e l’allattamento e quelli per la salute del figlio.
  • 24 permessi per assistere familiari portatori di handicap vari
  • 5 esoneri per la partecipazione a corsi di formazione, che le hanno fruttato questo immenso curriculum in quasi tutti i rami dello scibile umano, del trivio e del quadrivio (tranne, lo ricordo, la didattica; che è il campo della sua professione).

Giunti a questo punto il lettore potrebbe legittimamente pensare che i problemi le siano arrivati proprio a causa di questo suo costante abuso dei suoi diritti per assentarsi e fuggire dalle responsabilità del mestiere per motivi futili e personalistici. Tuttavia, la verità è che tutti, per quattordici anni, se ne infischiano bellamente.

I problemi arrivano nel 2015 quando, paradossalmente, la De Lio fa lo sciagurato errore di andare a lavorare per qualche periodo di diversi mesi consecutivi. In questo rovinoso impeto di operosità la docente, all’epoca in una scuola superiore nel veneziano, si scontra con la dura realtà del mestiere e – travolta dalle ardue fatiche del lavoro – inizia ad assumere comportamenti in classe un pochino lascivi. Cito qui alcune fonti aneddotiche rinvenute da colleghi e studenti intervistati: «Utilizzava il cellulare; Non faceva lezione; Metteva voti completamente a caso, a volte per antipatia; a volte ci metteva voti alti per comprare il nostro silenzio; litigava coi genitori e con i colleghi». Insomma, un quadretto di incompetenza e svogliatezza che nel complesso risulta uno spettacolo indegno.

La dirigente scolastica dell’istituto veneziano allora fa una cosa di cui in Italia non siamo abituati a sentir parlare: chiama l’Ispettorato del MIUR – non prima di aver raccolto un invidiabile campione di testimonianze orali, scritte, audio e video che, non nego, sarebbe utilissimo a fini di ricerca scientifica.

Spendiamo dunque due parole per cercare di capire chi sono queste figure note come Ispettori Scolastici Tecnici.

Andando a spulciare il Testo Unico del 1994, la cui Parte III Titolo I è ancora in vigore non emendata, il personale della scuola si divide in base a una classificazione funzionale che (con molta cautela) potrebbe essere definita anche abbastanza sensata dal punto di vista scientifico. Le categorie funzionali sono tre:

  1. Il personale docente (che si occupa della Didattica).
  2. Il personale dirigente.
  3. Il personale ispettivo, che si occupa ovviamente di vigilare sulla corretta erogazione del servizio pubblico.

Tuttavia la legge è abbastanza confusionaria e/o silenziosa sulle modalità secondo cui questo compito debba essere svolto. Secondo l’Articolo 397 del Testo Unico il personale ispettivo si occuperebbe persino di formulare proposte sulla stesura dei curricoli e dei piani-lezione e svolgerebbe consulenza presso le scuole per attuare progetti sull’impiego dei sussidi didattici e delle tecnologie di apprendimento. Dunque, queste figure hanno questa stranissima commistione di responsabilità che in qualsiasi paese normale sarebbero proprie di un progettista (figura che apparterrebbe alla prima funzione – quella didattica – ma che è estranea al nostro ordinamento) più una componente con funzione ispettiva estremamente poco chiara nel testo della legge.

Per fare un inciso polemico: voi ce lo vedete il docente medio della scuola pubblica italiana che si fa aiutare de un Ispettore Tecnico Scolastico a compilare i curricoli e i piani-lezione? Assolutamente no, per cui molto raramente queste figure si vedono in giro. Io me li immagino un po’ come Buzz Lightyear di Toy Story, tenuti tutti in un grande magazzino e stipati in enormi involucri di plastica.

Siamo nel 2015, quando svegliano dal sonno criogenico l’improbabile eroina della nostra storia, che si rivela cruciale nell’evoluzione della trama. Innanzitutto perché, facendo fatica proprio ad effettuare le rilevazioni del caso, è la prima persona a notare e a dare una dimensione di esistenza al fatto che questa signora fosse perennemente in permesso. Poi, una volta riuscita a beccarla – manuale alla mano, con la dovizia tecnica propria dei burocrati – comincia a dare nome e cognome alle violazioni deontologiche commesse.

  1. Non predispone un’organizzazione didattica adeguata.
  2. Non effettua una valutazione in itinere dei risultati dell’insegnamento nelle singole classi.
  3. Non rispetta il piano annuale dell’offerta didattica nei curricoli e nei metodi previsti.

E così via. Una lista delle violazioni deontologiche completa molto probabilmente impiegherebbe un lavoro archivistico decennale, comunque da quando emerso possiamo fidarci che l’ispezione non sia andata benissimo.

Grazie al rapporto stilato dall’ispettorato del MIUR, il 2 Marzo 2017 finalmente la Pubblica Amministrazione riesce a far scattare l’art. 512 che cita come uno dei tre motivi per la dispensa dell’impiego il “persistente insufficiente rendimento”. Senza specificare altro su cosa significhi avere un insufficiente rendimento.

E qui iniziamo a metterci le mani nei capelli, perché grazie alla totale mancanza di meccanismi di accountability del nostro sistema scolastico, questo articolo risulta assolutamente carente nel definire una ragione di dispensa dal servizio.

Ragione che al senso comune è molto chiara, ovviamente. Non è mai a lavoro, quando c’è non fa nulla, litiga con tutti, non insegna, mette voti a caso, usa il cellulare. Da un punto di vista prettamente deontologico non credo serva aggiungere altri. Tuttavia, purtroppo, dati alla mano raccolti sistematicamente sulla qualità della didattica non ce ne sono. Nei paesi dove il sistema scolastico viene preso sul serio gli insegnanti devono produrre documentazione sul loro operato in classe e tutti gli studenti sono sottoposti a test diagnostici continui per verificarne il progresso nell’acquisizione delle competenze. Nel nostro paese, nulla di tutto ciò viene fatto e risulta parecchio difficile quantificare e dare un tono di oggettività al rendimento di un docente.

Ragion per cui la docente fa causa per ottenere l’illegittimità del provvedimento di dispensa ex. Art. 512 e vince perché il Tribunale di Venezia con la sentenza n. 227 del 2018 le da ragione.

Il MIUR ci mette tre anni per ottenere una sentenza dalla Corte d’appello di Venezia che con la sentenza n. 488 del 2021 riforma il risultato del primo grado. Leggendo criticamente la sentenza si evince che il motivo è che il giudice questa volta decide (con un pizzico di buon senso) che – in assenza dei meccanismi di accountability veri e propri che qualsiasi paese civile dovrebbe avere e che il nostro paese, come dicevo prima, non ha – bisogna quanto meno accettare come prove quelle tracce documentali che – se vi ricordate, ne ho parlato prima – la povera dirigente aveva raccolto.

Arriviamo finalmente alla sentenza in Cassazione solo poco tempo fa, il 22 Giugno 2023, quando finalmente la decisione viene finalizzata. La docente è dispensata dal servizio in maniera permanente. Lei ci mette il carico tragicomico e dichiara in un’intervista: “Sono al mare. Chiarirò la faccenda”. Non si sa bene cosa voglia chiarire dopo il terzo grado di giudizio a otto anni dal casino che ha combinato.

Siamo giunti al punto della storia in cui esplode la notizia su tutti i giornali. Qualcuno, sotto la sezione commenti delle varie testate, magari esulta e stappa quello buono, ma a me rimane un bazzichino di amarezza in bocca a pensare che – salvo casi incredibili tre bocciature o più che in nessun caso io auguro a nessuno – ciascuno degli studenti di quel Terzo Superiore veneziano che pregarono la dirigente di ottenere l’intervento degli ispettori si è già ormai ampiamente diplomato e non avrà mai l’occasione di farsi erogare un servizio didattico decente dalla scuola pubblica.

Inoltre poi la sentenza usa delle parole che farebbero rabbrividire qualsiasi esperto di didattica, perché stabilisce un precedente sulla definizione di incapacità didattica. Dice la sentenza della Cassazione: “L’incapacità didattica, che rende il docente non idoneo alla funzione, consiste nell’inettitudine assoluta e permanente a svolgere le mansioni inerenti all’insegnamento, inettitudine che deriva da deficienze obiettive, comportamentali, intellettive o culturali, che solo o come conseguenza inducono prestazioni insoddisfacenti”.

I giornalisti non hanno capito nulla, e se la ridacchiano pensando che la Cassazione abbia definito la De Lio “un’inetta assoluta e incapace”, ma sfugge loro un fatto importante. Cosa vuole dire questa affermazione, cosa comporta per il futuro della scuola da un punto di vista sistemico? Vuol dire noi non viviamo in un paese normale, dove gli obiettivi competenziali di base devono essere raggiunti da chi vi lavora. Sia chiaro: non che io pretenda tale obiettivo nel 100% dei casi perché è chiaro che chi ha a che fare con studenti che defecano per terra o si mettono a giocare a spade in classe debba poter dormire la notte anche se il lavoro non è andato a buon fine. Però uno vorrebbe sperare che, quanto meno nei casi prototipici, la qualità del servizio debba essere tutelata.

Invece, grazie a questa sentenza, noi possiamo dire con la totale certezza data dall’inchiostro nero su bianco che viviamo in un paese in cui per essere giudicati “non idonei” bisogna dimostrare un’assoluta incapacità di fare questo mestiere dimostrata oltre ogni ragionevole dubbio in ogni aspetto della pratica professionale. Quindi bisogna avere a che fare con dei deficienti totali talmente patentati che l’Articolo 512 te lo strappano di forza dalle mani e se lo schiaffano in faccia da soli, altrimenti a nessuno frega nulla.

E tutto questo, senza considerare che in fondo ciò che ha fatto notizia, ovvero i vent’anni di nullafacenza di una docente per cui abbiamo buttato soldi in un buco nero, in fondo non c’entrano assolutamente nulla con le ragioni per cui ha perso. Se fosse stata un’insegnante mediocre che fa le sue lezioncine tradizionali con un minimo impegno e senza (metaforicamente) defecare in testa agli studenti con tronfia aria di sfida, nessuno avrebbe fatto nulla.

E questo mi fa pensare – ma questa è una mia opinione e quindi la faccio estremamente breve – che quando gli esperti di didattica vanno in giro a parlare di curricoli delle competenze, di lauree in Insegnamento, di tirocini, di piani-lezione, di accountability e di valutazione asimmetrica non stiamo parlando di miasmi teorici della comunità scientifica senza conseguenze sulla popolazione. Stiamo parlando di meccanismi seri e testati che forse (dico forse), se implementati, avrebbero aiutato un terzo superiore di una scuola veneziana a usufruire di un servizio pubblico che spettava loro senza sentirsi vittime di un’immensa tortura.

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