1922 – 2022: 100 anni dalla marcia su Roma e dall’avvento del Fascismo

Quello che ricorre fra ottobre e novembre di quest’anno è un centenario che va ricordato principalmente allo scopo di evitare che la storia possa ripetersi in quel senso. In tale ottica credo che vada interpretata la menzione fattane dalla Senatrice Liliana Segre nell’intenso discorso con cui ha aperto la seduta del senato recentemente eletto.

Nei mesi di ottobre e novembre del 1922 si consumarono infatti la marcia su Roma e l’insediamento del governo presieduto da Benito Mussolini.

Più che sulla marcia su Roma del 28 ottobre è bene porre attenzione alle fasi che consentirono la nascita di qual governo.

Mussolini, come è noto, non partecipò alla marcia. Si trovava a Milano in attesa di conoscere gli eventi. Il giorno successivo – 29 ottobre – fu convocato a Roma per ricevere l’incarico di formare il governo, e in quell’incarico conferito dal Re Vittorio Emanuele III si riscontra la prima anomalia: lo schieramento fascista, infatti, disponeva di poco più di trenta deputati, ben lontani dal costituire una maggioranza. Il governo, presentato il giorno successivo, 30 ottobre, era quindi – e non poteva essere diversamente – di coalizione: era costituito da tre ministri fascisti, due popolari, due democratico-sociali, due liberali, due militari, un nazionalista e un indipendente.

La seconda anomalia – chiamiamola così per usare un eufemismo – risiede nel discorso che Mussolini, senza degnare l’Assemblea di uno sguardo, pronunciò il 16 novembre alla Camera dei Deputati per chiedere la fiducia. Si tratta di quello divenuto famoso come “discorso del bivacco”, di cui questo è il passaggio più significativo: Potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli: potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto.”

Mussolini ha quindi pesantemente vilipeso il parlamento e dichiarato di non volere instaurare una dittatura “almeno in questo primo tempo”. Il che equivaleva a dire che si riservava di instaurarla in seguito, come poi puntualmente accadde.

La terza anomalia risiede nella fiducia che quel governo ottenne con 306 favorevoli, 116 contrari e 7 astensioni. Fra gli altri votarono la fiducia il liberale Giovanni Giolitti e due futuri padri della repubblica: Alcide De Gasperi e Giovanni Gronchi.

E’ facile immaginare con quale travaglio interiore uomini sinceramente votati alla democrazia come Giolitti, De Gasperi, Gronchi e tanti altri abbiano espresso quel voto. Purtroppo ciò può accadere quando la politica si trova a fronteggiare situazioni di straordinaria emergenza. E con ogni probabilità in quel novembre del 1922, di fronte a un concreto pericolo dell’acuirsi di una tensione sociale che avrebbe potuto condurre ad una rivoluzione di tipo bolscevico, molti hanno sottovalutato il pericolo di un’involuzione autoritaria che la leadership di Mussolini portava con sé.

E il fatto che Mussolini non abbia instaurato la dittatura, astenendosene “almeno in questo primo tempo”, ma che l’abbia fatto nei tre anni successivi deve farci riflettere su una circostanza: le dittature non nascono solo da traumatici colpi di stato ma, spesso, da lente e poco percepibili involuzioni autoritarie di situazioni politiche inizialmente democratiche.

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