13 Aprile 2000: Venticinque anni senza Giorgio Bassani

Che effetto fa morire a Roma, nei primi accenni di primavera agli albori del nuovo secolo? Per Giorgio Bassani difficile da accettare benché senza vita e sottratto ai sentimenti. Lui così devoto alla pianura e alla flora padana: sfondi affettivi che innalza a personaggi in varie opere. Eppure, la vita dell’autore è fitta di elementi che il caso non spiega, bensì, il loro continuo ripetersi disegna un modello in scala 3:1.

Bassani nasce il quattro Marzo del 1916 a Bologna; da lì, Ferrara lo attende con le emozioni degli anni formativi e a Roma vive la maturità. Le origini dell’autore coesistono e lo identificano: è Italiano, di origine semitica, della comunità israelitica di Ferrara. Un dettaglio, quest’ultimo, che definisce un modo d’essere; un’appartenenza specifica e diversa dal sentirsi ebrei alla maniera dei Finzi-Contini (Il Giardino dei Finzi-Contini).

Cresce nel trittico cruciale della storia nazionale: il fascismo, la Guerra Mondiale e la Resistenza. Terminata l’urgenza storica, è scrittore-critico sulle colonne di Paragone, Botteghe Oscure e Solaria, infine, come autore dispiega la penna in versi, racconti e romanzi leggendo Manzoni, James Joyce, Thomas Mann. 

Tra il ‘39-‘42 esce la sua prima opera – Una città di pianura – definisce un modello letterario e la posizione di chi, dall’interno, gli dà parola: uomini che ‘sono stati di là per diventare poeti, per astrarsi dal mondo, e non sarebbero poeti se non cercassero di tornare di qua, fra noi. Il distacco dalla vita, e quindi la morte, sono l’indispensabile presupposto dell’arte. Chi vive non scrive, chi scrive non vive.’

In realtà, in questi tre anni, Bassani pubblica versi passati firmati da Giacomo Marchi: uno pseudonimo. È il periodo estremo delle leggi raziali, la guerra è persa e un’altra, ben più ispida, si attende; un momento che altera, per sempre, la sua visione del mondo: la storia ‘gli aveva imposto una nuova realtà e per accoglierla nei suoi versi egli aveva dovuto lottare senza pietà con il paradiso del gusto e della cultura.’ Si può lavorare di lima evitando eccessi d’arte, tuttavia, resistono in minimi termini due concetti cui l’autore non rinuncia: ‘la correlazione tra verità e poesia è necessaria anzitutto per la propria salvezza. Invenzione e cultura servono meglio a interpretare la verità ma dire la verità non è fare l’elogio indifferenziato delle vittime, troppo facile. Il punto prospettico si situa molto più in alto.’ In questa dimensione sollevata ci sono Micòl e Alberto, i protagonisti del romanzo futuro conosciuti negli anni funesti (‘39-’42).

Il dopoguerra segna attimi di successo per l’autore e il periodo – 1956-59 – è particolarmente felice. Vince il premio Strega con – Cinque storie ferraresi – un’antologia di racconti ambientati nella città del cuore che troneggia nel titolo. Un luogo che Bassani considera personaggio e declina al ritmo narrativo: una prosa ‘modernamente atteggiata, di cultura e respiro europeo intimamente assimilato.’  Il sapere letterario lo procede, diventa editore per Feltrinelli selezionando due best seller: Il dottor Živago e Il Gattopardo.

Infine, il triennio 1961-64 consacra Bassani in veste d’autore con la vittoria del premio Viareggio per Il giardino dei Finzi-Contini; romanzo stroncato dall’avanguardia del Gruppo ’63. Il libro è sottoposto ad accuse chiare, dirette, termini che la critica ha adottato con troppo zelo. I più hanno ‘visto nostalgiche e consolatorie rievocazioni del passato, sull’onda di una memoria intrisa di seducente malinconia’. Nel ’63 i rapporti con Feltrinelli si raffreddano, l’editore lo accusa di spionaggio ma Bassani vince le accuse in tribunale. L’anno successivo, con la vicepresidenza in Rai si chiude un periodo complesso che, come la storia del Giardino (dei Finzi-Contini), trascende tempo ed eventi.

Il romanzo ha una trama semplice e drammatica; i fratelli Finzi-Contini, l’io narrante e pochi personaggi di contorno perlopiù ebrei, studenti, con la passione per il tennis e un destino comune: il peso delle leggi razziali e l’inevitabilità della morte. C’è poi un corredo di sentimenti infiniti: l’amore, l’amicizia, le insicurezze della giovinezza. La stessa varietà è omessa ai luoghi, Bassani sceglie Ferrara, il giardino chiuso e asfittico di una dimora che non esiste ma che, i lettori più fedeli, inventano nei sostenuti pellegrinaggi letterari.

La dimora dei Finzi-Contini è scarna di ossigeno, ogni personaggio è in affanno: Alberto muore per una patologia che si cura, da prima, con l’ossigeno; i cari conservano scorte di bombole ma il primogenito è debole e perisce, solo, nella tomba di famiglia. Micòl, purché viva, ‘esiste soprattutto nel passato, non vuole, non sa e forse non può impegnare l’avvenire.’ Infine, gli altri Finzi-Contini ‘passano e ripassano sullo sfondo, irreali, avulsi dal mondo, sono legati alla tragedia del passato, in attesa che il futuro cancelli del tutto le loro anime fragili.’

Giorgio Bassani costruisce un romanzo sul moto della morte, un procedere ad oltranza per spingersi altrove superando la stasi che la definisce per natura. Eppure, la trama vince l’inerzia e l’autore prosegue a narrare: ‘una poetica che trasferisce nel settore laico il grande modello manzoniano e a un tempo impianta in patria, per quanto compatibile con le tradizioni, le migliori esperienze europee.’ 

Il Giardino dei Finzi-Contini ha una struttura ‘salda ed elaborata, variata e mossa’, la sintassi diluisce la trama ‘in artifici ritardati, nel quale l’elemento contenutisticamente di maggiore spicco, sta respinto verso il fondo di lunghissime parentesi.’ Il lessico tende alla ‘medialità’: una lingua che non finge di essere scritta e non teme di essere parlata.

La neutralità semantica contrasta con le lucide, quanto inedite, riflessioni morali del narratore; il romanzo è un unicum letterario per la disposizione dell’autore agli eventi. Con umano rispetto studia il mistero dell’agire umano, quella porzione d’ombra dove la ragione è esclusa ma si conserva, inalterata, la fenomenologia degli atti. La penna di Bassani eccede in pietà, un sentimento ‘che sottrae tutti a ogni facile soluzione di condanna o elogio totale’, pertanto, si concede una riflessione sulla comunità ebraica di allora, suscitando risentimenti. La diffidenza dei Finzi-Contini è un modo d’essere che Bassani muta in atteggiamento condiviso: ‘questo nostro cuore ebraico, dolente e sempre in posizione d’ombrosa vigilanza verso non ebrei ed ebrei.’

La critica l’ha definito un libro senza umorismo, privo di umana simpatia, di slancio intelligente e sorvegliato, di contro, la sua presenza ‘avrebbe potuto salvare il romanzo agli occhi di tutti gli ebrei.’  Ma Bassani voleva compiacere i lettori? È indubbio che la complessità e il modo sottile di restituire un dramma vissuto, è sintomo di un’anima fedele a una massima: ‘chi corre dietro al pubblico, vuol dire che non ha niente dentro di sé.’

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here